Caffè Amaro
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Pierpaolo Adda (Soave –Vr- 1944) è stato, agli inizi degli anni ’60, valente batterista del complesso rock “Dino e i Kings”, che nel ’65 diventerà “I Kings”. Compositore di buona parte delle canzoni del gruppo, tra cui la fortunata “Caffè amaro”, l’autore rievoca in questo libro la storia e le esperienze umane e professionali della Band veronese, passata attraverso fasi gloriose e momenti di difficoltà, di volta in volta superati con coraggio, grinta e una appassionata volontà di essere sempre più all’altezza delle novità imposte dall’arte musicale. Non solo come giovanile passatempo, ma reale scelta di vita.

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CAFFE’ AMARO

Autore: Pierpaolo Adda  – Editore: Cierre Edizioni, 2007

 

Ripropongo la lettura di questo romanzo autobiografico non solo alle persone di età avanzata, che nei primi anni sessanta hanno avuto l’occasione di seguire trepidanti, magari a nuovi passi di danza, le novità musicali statunitensi delle jazz band e rock & roll, che si accampavano prepotentemente nella realtà italiana giovanile. Lo raccomanderei pertanto alle giovani generazioni di oggi, perché questa storia, raccontata con indomito slancio vitale dal principio alla fine, da chi l’ha vissuta nel proprio sangue, talmente fedele ai fatti, non solo dell’area musicale, ma anche di quella del costume sociale, si può considerare, senza tema di smentite, un “Romanzo di formazione” che può fare da specchio guida ai nostri ragazzi, che oggi sembrano muoversi nella vita come se non sapessero dove andare.

Presentato da Gigliola Cinquetti, giovanissima vincitrice nel 1964 del Festival di San Remo  con una delle più belle, mai dimenticate canzoni, “Non ho l’età”,  questo libro intitolato CAFFÈ AMARO come il brano di ininterrotto successo firmato da Adda per il testo e da Ennio Ottofaro per la musica, e sottotitolato Quel certo sapore dei miei anni sessanta, non è solo un racconto legato alle memorie di Pierpaolo, a partire dalla rievocazione della sua precoce propensione per la musica straniera, inglese e americana. Essa irrompe sulla scena mondiale degli anni sessanta con nuove rivoluzionarie radici sonore e strumentali, da catturare smanie e interessi di adolescenti imberbi, che come il sedicenne Pierpaolo si incollavano alla radio ascoltando fino all’esaurimento Especially for you del chitarrista statunitense Duane Eddy. O, passavano ore rubate allo svago o allo studio, nella “Casa del Disco” di Verona, per ascoltare musica e comprare qualche disco da collezionare e custodire gelosamente come oggetto prezioso. Poi di notte si incollavano alla stazione radiofonica Radio Luxembourg che trasmetteva tutte le novità musicali del momento: Shadows, Everly Brothers, Ray Charles… Orecchie tese, cuori in ascolto, sogni, progetti, speranze… fin che il sonno non li ammazzava…

Come scrive la Cinquetti, questo libro non è solo un tuffo nel passato, ma ha il sapore del risveglio, come il caffè preso al mattino quando si apre il giorno…

Leggendo la storia si ha l’impressione che fin dai primi vagiti Pierpaolo si sia consacrato al mondo musicale, per cui ogni sua azione da quando è al mondo è sempre stata accompagnata dall’ascolto della musica, che lo ha formato come interprete, come critico e come compositore. Seguendo le sue vicende fin dai primi istanti di vita nella ridente, odorosa di buon vino, cittadina di Soave, apprendiamo che ancora piccolo mostrava segni di precoce intelligenza, e una naturale attitudine a imparare a suonare qualche strumento. Ricevette così le prime lezioni di pianoforte verso i 9/10 anni nel collegio gardesano frequentato per due anni insieme al fratello. Poi alle medie ebbe lezioni di teoria e solfeggio, date gratuitamente da un professore che si spendeva tutto per interessare i ragazzi alla musica ma con pochissimi risultati. Così capì che nella vita si può anche seminare per pura generosità e non necessariamente, o non solamente, per raccogliere…

Gli sarebbe piaciuto imparare a suonare la fisarmonica allora strumento in voga per ogni occasione di festa… oppure diventare violinista come Sacha menestrello tzigano del sabato sera nelle prime TV in bianco e nero. Non passano senza ricordi i tempi del liceo, il primo innamoramento per la bella del paese, mentre nonostante l’impegno richiesto dagli studi, la voglia di musica continua a crescergli dentro ogni giorno di più… È il tempo in cui sono in arrivo sulla scena italiana, ancora dominata dalla musica melodica di Bruno Martino, Marino Barretto Jr, e altri, il rock & roll di Elvis Presley, le canzoni di strepitosi cantautori come Paul Anka, Neil Sedaka, e Harry Belafonte. Immediatamente seguiti in versione italiana da Bobby Solo emulo di Elvis, da uno scatenato Little Toni col ciuffo sulla fronte, da un Adriano Celentano, il molleggiato fondatore del Clan. Erano tutti in grado di influenzare le opportunità formative della gioventù. Mentre i ragazzi di allora, seguendo i loro miti, aspiravano soprattutto a specializzarsi come virtuosi chitarristi e cantanti, Pierpaolo fece una scelta diversa. Affascinato e naturalmente portato verso gli strumenti a percussione della batteria, vi si buttò sopra anima e corpo, ottenendo dal padre (meravigliosa figura di un padre che sa stare accanto al figlio guidandolo in ogni situazione, in ogni emergenza) come regalo di promozione, una bella batteria color grigio madreperlato. Fuori di sé dalla gioia si mise a capofitto da autodidatta per imparare a muovere le mani tra tamburi e piatti seguendo il metodo del maestro Gene Krupa, mitico batterista autore di un testo, ricco di esercizi di base, tutti da mandare a memoria, vero e proprio alfabeto su cui costruì la propria geniale creatività inventiva e interpretativa e raggiunse quel timbro distintivo che lo accompagnò per tutta la carriera. Era anche grande ammiratore di Max Roach, Art Blakey e Joe Morello, artisti di stile tra loro totalmente diverso, ma tutti ugualmente elettrizzanti per la bellezza dei loro linguaggi. Si specializzò come batterista creativo e innovativo prima nel gruppo dei “The Storms”, con cui mosse i primi passi verso il successo, approdando quasi subito a “I Kings”, a fianco di Ennio e Gilberto valenti chitarristi e Damiano bassista. Tale leggendario complesso della “Verona Beat” di quegli anni era capeggiato dal cantante Dino, il bel ragazzo biondo dagli occhi azzurri, con il quale il nostro batterista farà un bel pezzo di strada fra promesse, successi e amare delusioni.
Una che scotta ancora è il volta faccia di Dino che lasciò il gruppo per una carriera da solista. Fortunatamente fu sostituito a breve  da un altro cantante particolarmente in gamba per la qualità del canto e dell’interpretazione: Renato Bernuzzi, che ha dedicato alla musica tutta la sua vita. Renato, si è spento serenamente compianto da parenti amici e soprattutto dal mondo musicale il 13 novembre 2020.
Tra le pagine emerge una indomita volontà di andare avanti, esplorare tecniche di “SAUND” sempre più all’altezza per dare espressività originale alle interpretazioni della Band; di tenere viva la voglia di impegnarsi di più, di prepararsi meglio, arricchendo di volta in volta il repertorio canoro musicale e curando i dettagli della propria immagine. Soprattutto aspirando a migliorare sempre la qualità delle prestazioni, sostituendo le strumentazioni usate con altre migliori, più costose, presenti sul mercato. Il tutto, tenendo d’occhio i luoghi delle esibizioni, avvicinando Star di grido come il batterista nero  Art Blakey (919–1990) incontrato a un concerto al Teatro K2 di Verona, grande musicista e uomo di grandissima qualità. Come altri direttori artistici che Pierpaolo ha avuto modo di conoscere da vicino nei luoghi prestigiosi dell’industria discografica italiana (RCA). Fra questi anche Ennio Morricone, compositore arrangiatore dal genio insuperabile. Sempre in quei primi anni sessanta scoppiava il fenomeno Beatles, che cambiò la musica, il gusto e il modo di vivere di tutto il mondo musicale giovanile. Sulla loro scia esplosero i Rolling Stones e la cosiddetta British Invasion. Adda reputa i Beatles un fenomeno che nel panorama musicale mondiale ha avuto la stessa importanza che la scoperta dell’America ha avuto per la storia dell’umanità.

Anche i Kings intanto si stavano avviando verso un futuro luminoso, chiamati a incidere dischi dalla casa discografia milanese Durium che li sollecitava a curare, oltre il loro repertorio canoro musicale, anche l’aspetto scenografico, e li faceva esibire nei locali più prestigiosi, i famosi Piper di Roma e di Milano e sparsi in ogni dove. La loro fu una inarrestabile scalata al successo, favorita dall’interesse delle riviste più lette dai giovani come “Tuttamusica” o “Ciao Amici” o “Giovani”, che sovente pubblicarono un bel servizio, mirato ad aumentare la loro popolarità. Una popolarità che richiamava l’attenzione dei giovani – teenager– i quali amavano riunirsi, stare insieme e vivere una realtà scapigliata che sembrava appositamente fatta per loro in contrasto spesso con la mentalità dei “matusa” come venivano soprannominati gli adulti di allora. In quel mondo mosse i primi passi il movimento femminista, che segnò cambiamenti profondi nell’atteggiamento delle ragazze verso i ragazzi, non sempre preparati a capirlo.

Fra le righe scorrono riflessioni di carattere psicosociale fra le quali una colpisce per importanza. Il nostro autore scrive che ciò che rendeva il mondo degli anni ’60, del quale i giovani si erano spontaneamente impadroniti, così unico e irrepetibile, era motivato dal fatto che la loro felicità non dipendeva da ricchezze materiali, ma solo dal fatto di sentirsi “nuovi”, capaci di sognare in grande, rispetto a una società incapace di vedere un palmo più in là del benessere materiale. I giovani di tutte le estrazioni sociali si sentivano accomunati dalla musica, al di là dello stato, del ceto e del censo: quella musica de “I Kings”, che sulle orme dei Beatles e dei Rolling Stones, li sapeva interpretare in modo nuovo e originale, facendoli sentire protagonisti della loro giovinezza.

Il tutto avveniva in una Verona che, a quei tempi, era chiamata la Liverpool d’Italia, poiché negli anni ’60 e ’70, sulla scia di questa modernizzazione musicale dettagliatamente narrata da Pierpaolo Adda, era la città che con la provincia, dava vita alla proliferazione di innumerevoli complessi, come in nessun’altra parte d’Italia.

Leggere questo libro è seguire passo passo le incredibili avventure di questi giovani in giro per l’Italia con la Carovana delle miss, o in tournée col Cantagiro, che perseguivano la loro meta di migliorarsi continuamente e  che meritarono di vivere momenti di vera gloria.

Che ne sarà di loro dal momento in cui il vento cambierà? Lascio a voi lettori il piacere di scoprirlo.

Buona lettura.

Elisa Zoppei

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